
Il governo Meloni nel 2025: ordine, controllo e l’illusione della svolta
- gabriele pellegrino
- 13 ore fa
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A tre anni dalla sua ascesa a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni guida un esecutivo che ha portato ordine dove c’era caos, ma spesso al prezzo della giustizia sociale. È un governo che ha saputo imporsi, ma non necessariamente includere. Che ha gestito, più che trasformato. Un governo che sa dove vuole andare, ma non sempre chi vuole portare con sé.

"Un sistema più efficiente, ma non più equo”
Va detto senza ambiguità: l’abolizione del Reddito di cittadinanza è stata una scelta coraggiosa e, per molti versi, necessaria. L’Italia era l’unico grande Paese europeo ad aver introdotto una misura di sostegno al reddito così ampia senza un collegamento obbligatorio con la formazione o l’inserimento lavorativo. Il Reddito, nato per combattere la povertà, aveva finito col cronicizzarla in alcune aree del Paese, alimentando assistenzialismo e distorsioni.
Il nuovo sistema, articolato tra Assegno di Inclusione e supporto per la formazione e il lavoro, ha introdotto maggiore selettività, più controlli, e soprattutto un principio chiaro: chi può lavorare deve essere messo nelle condizioni di farlo, non semplicemente sostenuto.
In questo, il governo Meloni ha avuto ragione, e ha fatto ciò che governi precedenti non hanno osato fare. È giusto riconoscerlo. Ma se guardiamo ai dati più recenti, il quadro resta complesso: la povertà assoluta è aumentata di oltre 400.000 unità nel 2024, segno che la riforma, da sola, non basta. Senza un’infrastruttura solida di politiche attive del lavoro, centri per l’impiego efficienti e formazione accessibile, il rischio è creare un sistema più selettivo ma non più efficace.
“Un Paese più stabile, ma non più giusto”
Giorgia Meloni ha dato al Paese una delle stagioni politiche più stabili degli ultimi vent’anni. In un’Italia storicamente fragile, questo è un risultato rilevante. Ma la stabilità, se non è accompagnata da inclusione sociale, redistribuzione e giustizia, rischia di diventare solo un controllo più elegante.
La mancanza di una politica sui salari ne è un esempio emblematico. Mentre Francia, Germania e Spagna aggiornano i loro minimi retributivi, l’Italia resta l’unico grande Paese dell’area euro senza salario minimo legale. Il taglio del cuneo fiscale ha alleggerito alcune buste paga, ma non ha inciso strutturalmente sul potere d’acquisto. In molte città italiane, lavorare a tempo pieno non basta per pagare un affitto.
“Il merito come retorica, non come politica”
Nel settore dell’istruzione, il governo ha varato una riforma importante della filiera tecnico-professionale. Il modello “4+2” proposto dal ministro Valditara mira ad allineare scuola e lavoro, in linea con i modelli tedesco e austriaco. Ma il rischio è una segmentazione precoce, in cui il destino educativo dei ragazzi è deciso troppo presto, spesso in base al ceto sociale o alla provenienza geografica.
La parola “merito”, tanto invocata, resta uno slogan più che una garanzia. Senza investimenti seri sull’inclusione, sull’orientamento e sulle scuole delle periferie, il merito rischia di essere solo il nuovo nome del privilegio.
“Migrazione e modello Albania: un teatro per l’opinione pubblica”
Uno dei punti centrali dell’azione di governo è stato il contrasto all’immigrazione irregolare. Il cosiddetto “modello Albania”, che prevedeva il trattenimento dei migranti in centri extraterritoriali, ha avuto una risonanza enorme, ma una concreta efficacia minima. La Corte di Giustizia dell’UE ne ha limitato l’applicabilità, e i flussi non si sono arrestati.
In compenso, il governo ha ottenuto un risultato: riportare il tema dell’immigrazione al centro del dibattito politico, ma in termini di emergenza, non di responsabilità. Mentre le ONG vengono ostacolate, e il diritto d’asilo eroso a colpi di decreti, l’Italia continua a non dotarsi di una vera politica migratoria europea e strutturale.
“Il piano Mattei: Tra cooperazione e controllo”
Il Piano Mattei per l’Africa è, sulla carta, una delle intuizioni più ambiziose del governo. Investimenti in energia, agricoltura, formazione, e un’idea di partenariato paritario. Ma nei fatti, finora, il piano resta più una cornice narrativa che un motore di trasformazione. Con poco più di 400 milioni di euro allocati, l’Italia non può competere né con la Cina né con gli Stati Uniti in Africa.
Resta una visione strategica interessante, certo, ma ancora legata a un approccio utilitarista: si finanziano infrastrutture nei Paesi africani per bloccare i flussi migratori. È davvero cooperazione, o solo contenimento a lungo raggio?
“Conclusione: un governo con una direzione, ma con la porta stretta”
Il governo Meloni ha una visione, una narrazione e una direzione chiara. Questo lo distingue da molte stagioni passate. Ma l’idea di società che propone è escludente, verticale e fortemente identitaria.
Ha fatto bene su alcune riforme: ha riportato ordine dove serviva, ha preso decisioni scomode con determinazione. Ma il cambiamento non è mai solo tecnica: è anche orizzonte etico e culturale. E su questo piano, le risposte mancano.
Non basta camminare dritti: bisogna anche chiedersi chi resta indietro.
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